Madri nubili
Per secoli la donna è vissuta in subalternità all’uomo, è stata considerata proprietà dell’uomo (padre o marito). E la proprietà, come è noto, si divide in due categorie: quella buona e conveniente da acquistare e quella che non vale niente. Allo stesso modo sono state classificate le donne, quelle serie e affidabili, da sposare e quelle “perdute” che non valgono niente. Di conseguenza l’intera società, per secoli, ha condiviso l’idea aberrante che una madre nubile è donna priva di ogni valore e qualità femminile, è di fatto uno scarto. Ed è la società (uomini e purtroppo anche donne) che si è fatta tutore di questa mentalità fino a diventarne giudice inappellabile. Per secoli la donna è stata costretta a pratiche che garantivano in modo inequivocabile la sua serietà: la prova decisiva di questa condizione è diventata la verginità femminile, l’imene intatto. In mancanza di tale requisito, la sola ed unica possibilità concessa alle donne per riabilitarsi agli occhi del mondo era il matrimonio riparatore.
Questa tradizione vergognosa, in alcuni casi, è stata mantenuta fino ai nostri tempi: Diana Spencer, prima di sposare il principe Carlo, fu sottoposta a visita ginecologica allo scopo di accertarne la purezza verginale.
La letteratura, in alcune sue pagine fondate sullo studio accurato da parte dell’autore di cronache e fatti realmente accaduti, offre racconti esemplari.
Ne “I Promessi Sposi” Manzoni riferisce una storia del Seicento. Gertrude, isolata ed ignorata dalla famiglia alla quale aveva comunicato la sua volontà di non farsi suora, scrive un biglietto ad un paggio (l’unico che l’ha guardata con rispetto), ma quel biglietto le viene sottratto da una cameriera e diventa l’arma con la quale il principe padre la terrorizza e la ricatta. Le dice, in modo solenne ed imperativo, che prima avrebbe potuto anche accondiscendere al desiderio di lei, che ora non potrebbe farlo in nessun modo visto che sua figlia ha violato ogni norma di moralità pubblica scrivendo un biglietto ad un paggio. Come potrebbe da padre rispettabile proporre ad un galantuomo di prendere in moglie una fanciulla che ha dato così pessima prova di sé e della sua serietà?
Ne “I Miserabili” Victor Hugo narra la storia di Fantine, mamma nubile di una bambina, Cosette. Per trovare un lavoro, anche il più umile, che le permetta di provvedere a se stessa e alla bambina Fantine è costretta a nascondere la condizione di madre nubile e ad affidare Cosette, in cambio di denaro, a due coniugi che gestiscono un’osteria. Nella fabbrica dove lavora le viene sottratta una lettera dalla quale si evince la maternità nascosta. E’ una donna, la responsabile delle operaie, che porta quella lettera al proprietario dell’azienda. L’essere madre nubile diventa il motivo per un licenziamento immediato. Fantine ha dato scandalo, è diventata una “donna perduta” e finisce in strada tra le prostitute.
In “Filumena Marturano” Eduardo De Filippo, dopo aver letto un fatto di cronaca, racconta la condizione di una giovane donna costretta dal bisogno a vivere in una casa di tolleranza. Filumena porta a termine tre gravidanze e nasconde ogni volta i suoi figli affidandoli a coppie che provvede a retribuire sottraendo denaro all’uomo che l’ha portata a vivere con lui in condizione di governante. La figura di Filumena consente ad Eduardo di attingere ai suoi sentimenti di bambino, al suo dramma di alunno diverso ed inferiore ai coetanei perché figlio di sola madre e privo del cognome paterno. La commedia si conclude con il prevalere di un valore universale non ancora definito dalla legislazione vigente, è la vittoria di Filumena e del principio per cui “i figli sono sempre e tutti uguali”.
Nella vita reale riferisco una vicenda scolpita nei miei ricordi di bambina. Nel rione montano del paese d’Irpinia dove vivevo, di fronte alla mia casa, abitava Concetta, una ragazza molto bella che lavorava come bracciante nei castagneti di un cavaliere. Quando si accorse di aspettare un figlio dal datore di lavoro ed ebbe la certezza che la famiglia di lui non avrebbe mai acconsentito ad un matrimonio, per sottrarsi allo scandalo, quella giovane donna andò a Napoli, si imbarcò in un bastimento e, per dodici anni, visse da madre nubile negli Stati Uniti d’America. Tornò in Italia quando il figlio era ormai adolescente e la mentalità si era in piccola parte evoluta.
La condizione di madre al di fuori di un matrimonio ha riguardato non soltanto donne di umili origini, ma anche alcune donne nate in famiglie colte e benestanti come accadde a Maria Montessori: come avrebbe potuto quest’ultima continuare i suoi studi, come avrebbe potuto inventare e sperimentare la nuova pedagogia che l’ha resa famosa nel mondo se fosse stata condannata alla vergogna e all’esclusione sociale? Alla fine dell’ottocento il quadro normativo rimaneva in sostanza quello conseguente al Concilio di Trento. C’erano leggi che vietavano al figlio naturale, salvo in caso di ratto o stupro violento, ogni possibile indagine sulla paternità (Art.199 Codice Civile, Titolo VI, Sez. II, 1865) e ammettevano in ogni caso le indagini sulla maternità (Art. 190 Codice Civile Titolo VI, Sez. II, 1865). Erano in vigore leggi che stabilivano il divieto di legittimare i figli naturali da parte del genitore vincolato da matrimonio in assenza del consenso dell’altro coniuge, (Art, 198 Codice Civile, Titolo VI, Sez. II, 1865). Inoltre, nel caso di riconoscimento del figlio naturale da parte di entrambi i genitori, la tutela legale del minore era assegnata al padre (Art.184 Codice Civile, Titolo VI, Sez. II, 1865). Queste leggi sono rimaste in vigore fino al 1942. Altre leggi definivano il reato di concubinato e di adulterio con la differenza che l’uomo era punibile solo se la concubina abitava nella casa coniugale o in un’abitazione vicina e nota a tutti, la donna era punibile sempre. Questi reati furono aboliti dalla Corte Costituzionale e non dal Parlamento rispettivamente nel1968 e nel 1969.
All’indomani del Concilio di Trento, per la dottrina cattolica, diventò indiscutibile “il matrimonio come l’unico ambito nel quale assicurare la formazione di una famiglia e la continuazione della specie”. Di conseguenza contro le donne che divenivano madri al di fuori di un matrimonio era in vigore soprattutto una legge non scritta ma più importante di tutte quelle citate, l’obbligo femminile di attenersi alle regole “della moralità pubblica e del buoncostume”.
La conquista dei diritti femminili è stata il risultato di una lotta delle donne che è durata secoli e che ogni volta bisogna rinnovare. Come non ricordare che una delle prime mie iniziative parlamentare riguardò l’abolizione di una vergogna che ancora umiliava le donne. Nel ’96, in contrasto con l’articolo tre della Costituzione e, ventuno anni dopo l’approvazione del nuovo diritto di famiglia, le anagrafi di tutti i comuni italiani rilasciavano certificati di famiglia nei quali i figli di una madre vedova o divorziata che si era risposata venivano definiti “figliastri”. Ovviamente non si ricorreva a tale definizione se i figli erano solo del padre.
Alberta De Simone